Induratio Penis Plastica (IPP) a Genova

L’Induratio Penis Plastica (IPP) o Malattia di La Peyronie, dal medico francese che la descrisse nel 1743 addirittura, secondo la leggenda, osservandola su re Luigi XIV, consiste nella trasformazione “fibrotica” di un tratto dell’involucro che avvolge i corpi cavernosi del pene. Tale involucro, la Tunica Albuginea, è normalmente elastico per consentire il regolare afflusso di sangue durante l’erezione. La conseguenza di tale fibrosi è la mancata estensibilità del corpo cavernoso del pene in quel tratto affetto dalla patologia con conseguente incurvamento che se, di grado elevato (60-90°) può compromettere o inibire la possibilità della penetrazione e quindi il rapporto sessuale.

Se di grado meno elevato può comunque avere un risvolto psicologico negativo significativo.

E’ una patologia abbastanza frequente (si arriva fino al 9 % nelle diverse statistiche).

L’esordio è quello di una malattia infiammatoria acuta, quindi con dolore più o meno intenso nella parte del pene interessata, soprattutto durante il rapporto. In questa fase l’incurvamento non è ancora evidente. Lo sarà nei mesi successivi, a malattia stabilizzata (8-10 mesi dall’esordio), con il dolore in diminuzione. Le cause sono sconosciute. L’ipotesi più accreditata è quella di una alterazione dei piccoli vasi sanguigni che sono attorno alla Tunica Albuginea con conseguente diminuito apporto di ossigeno e successiva fibrosi. Altra ipotesi è quella autoimmune e cioè che il nostro sistema immunitario riconosca come estranea la membrana che riveste i corpi cavernosi e la attacchi provocando una reazione infiammatoria con la conseguente cicatrice che determina di fatto la malattia.

Fattori di rischio

Fattori di rischio accertati sono: il diabete, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia o ipertrigliceridemia, la cardiopatia ischemica (malattia cardiaca con diminuito apporto di sangue alle arterie coronarie e quindi alle arterie peniene), la disfunzione erettile, il fumo e l’abuso di alcool. La frattura del corpo cavernoso durante l’atto sessuale (si evidenzia con ematoma penieno).

Terapia

Medica:

il ruolo della terapia medica non è ancora stato ben definito, ma appare di scarsa efficacia. Sono stati testati diversi farmaci in passato sia per via orale .

I principali:

-vitamina E per uso orale prolungato con scarsi o nulli risultati.

-iniezione intra o peri lesionale (in prossimità della placca) come il Verapamil (un farmaco che si usa per l’ipertensione arteriosa con azione vasodilatatrice) con lo scopo di aumentare l’apporto di ossigeno, anch’essi con risultati non certi.

-Il trattamento con onde d’urto (ESWT) con l’intento di favorire la crescita di speciali globuli bianchi (macrofagi) stimolando la loro azione litica sulla placca non presenta ancora dati di efficacia definitivi.

-Il POTABA (acido para-amino-benzoico) sembra avere una discreta efficacia sul dolore e in parte stabilizzerebbe la placca ma con presenza di effetti collaterali possibili (nausea, prurito etc.).

-L’utilizzo di un enzima (proteina che rompe, in questo caso la placca) ottenuta da un batterio che si chiama Clostridium. Con questa tecnica, al momento ci sono effetti collaterali (dolore ed ecchimosi sul punto di iniezione). E’ ancora da provare la sua reale efficacia.

-L’utilizzo di strumenti che provocano erezione artificiale creando il vuoto come i vacuum che avrebbero un’azione di allungamento e quindi di stiramento della placca nelle fasi iniziali. Alcuni studi sembrano promettenti ma ancora da verificare pienamente.

Chirurgica:

la terapia chirurgica, a placca stabilizzata, cioè come si è detto dopo 8-10 mesi dall’esordio, è la terapia di riferimento. Consta di due tecniche principali. Una cosiddetta di accorciamento e l’altra di allungamento. Nel primo caso viene eseguita una plicatura controlaterale al corpo cavernoso malato (con o senza incisione dello stesso) per raddrizzare il pene. In pratica viene eseguito quindi il “pinzamento di un piccolo tratto del corpo cavernoso opposto a quello malato (quello sano) e ciò comporta una diminuzione della lunghezza peniena pari al grado di curvatura. Personalmente eseguo questo intervento, che è ben tollerato, solo quando la curvatura non è molto accentuata ma comunque rappresenta un risvolto psicologico negativo per il pz. che vuole risolvere il problema. Per gli incurvamenti maggiori (60-70-90°) è preferibile eseguire tecniche che mantengano il più possibile la lunghezza peniena (con l’altro intervento si accorcerebbe troppo). In questo caso si incide direttamente la placca fibrosa e si posiziona un innesto di materiale biocompatibile. Questo può essere derma o un tratto di safena prelevati dal pz. stesso. Personalmente uso un “francobollo” di sottomucosa di piccolo intestino di suino (ampiamente già utilizzato) che è assolutamente ben tollerato dal pz. Vi può essere una percentuale di Deficit Erettile (D.E.), più elevata rispetto all’intervento di plicatura (25% contro il 5-10%).

Nei casi in cui è presente D.E. significativo associato alla malattia di Peyronie è indicato il posizionamento della protesi peniena con conseguente raddrizzamento associato.

Per concludere, la malattia di La Peyronie è una malattia piuttosto frequente.

Visto che la terapia medica serve a poco o nulla, il consiglio è: a malattia stabilizzata, se l’incurvamento permette il rapporto (è quindi modesto), evitare l’intervento chirurgico, a meno che non vi sia un risvolto psicologico negativo particolare. In questo caso è sufficiente un intervento più semplice di plicatura. Viceversa, se l’incurvamento è evidente e non è presente D.E. significativo è necessario eseguire un intervento con posizionamento dell’innesto (un poco più lungo rispetto al precedente). Se è presente anche D.E. significativo (peraltro casi piuttosto rari) è indicato il posizionamento della protesi peniena.